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Bruci la città 
e crolli il grattacielo 
rimani tu da solo 
nudo sul mio letto.

Bruci la città 
o viva nel terrore 
nel giro di due ore 
svanisca tutto quanto 
svanisca tutto il resto. 

E tutti quei ragazzi come te 
non hanno niente come te 
io non posso che ammirare 
non posso non gridare 

che ti stringo sul mio cuore 
per protegerti dal male 
che vorrei poter cullare 
il tuo dolore il tuo dolore. 

Muoia sotto un tram 
più o meno tutto il mondo 
esplodano le stelle 
esploda tutto questo. 

Muoia quello che è altro 
da noi due almeno per un poco 
almeno per errore. 

E tutti quei ragazzi come te 
non hanno niente come te 
io vorrei darmi da fare 
forse essere migliore 

farti scudo col mio cuore 
da catastrofi e paure 
io non ho niente da fare 
questo e quello che so fare 

Io non posso che adorare 
non posso che leccare 
questo tuo profondo amore 

questo tuo profondo 
non posso che adorare 
questo tuo profondo 

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pioggia e sole abbaiano e mordono ma lasciano il tempo che trovano

Non credo che la gente cambi così, di colpo, neanche a fronte di una brutta notizia né di un evento che, nel bene o nel male, sconvolge completamente la vita.
O almeno posso dire di non crederlo adesso che ci sono dentro.
Fino a poco fa avrei giurato il contrario, e, nei deliri dei momenti peggiori ho addiritura sperato che succedesse qualcosa che mi scuotesse, fosse pure un lutto, un evento drammatico.
Pensavo che se fosse successo qualcosa che mi avesse aperto gli occhi sulla vita, sulla condizione umana, sulla mia vita, sulle mie ore, io sarei riuscita a viverle degnamente quelle ore  e questa vita.

Pensavo… credevo… immaginavo…sbagliavo.

Ora una cosa è successa, forse peggio di quelle che mi aspettavo, e questa notizia non mi ha cambiato, non ha cambiato il mio modo di vedere la vita né di vivere.
Mi ha semplicemente aiutato a trovare me stessa e a conoscermi un po' meglio, ma solo un po'.
Le mie paure, le mie ansie, i miei difetti, tutto resta lì, continua a farmi compagnia anche se soffocato in un angolo da una compagna più ingombrante e invadente.

I giorni del pianto e dello stridor di denti stanno scivolando via, e in fondo è giusto che ci siano stati, giusto nella misura in cui non credo avrei saputo evitarli e, tutto sommato, posso dire che non li ho vissuti troppo male.
Ora, incassato il colpo, mi devo rialzare, devo cominciare a camminare, devo riprendere a fare le cose, e fra le cose ce ne sono di importanti e meno importanti, c'è da sapere dove vivrò nei prossimi anni, che se il governo ce lo concede ci inseriamo in qualche graduatoria più libera, c'è da fare l'amore più spesso con l'uomo meraviglioso che ho accanto e che è stato sempre qui, a tenermi la mano, anche quando con le mani avrei voluto strapparmi i capelli, c'è da chiamare un po' di amiche che hanno avuto bimbi meravigliosi e io voglio fare la zia che regala le caramelle, c'è da portare mia madre in un centro commerciale e sentirle dire che le gira la testa, già lo so che lo farà, c'è da imparare a mangiare quello che mi fa bene evitando quello che mi fa male, ma un gelatone con la panna io lo comprerò e lo mangerò tutto, c'è da viaggiare, c'è da fare un po' di ginnastica e tagliare i capelli, ma non troppo, e c'è da andare al cinema e a teatro, e ai concerti e al mare, e c'è da imparare a dire che ho una malattia che ha un nome, sclerosi multipla si chiama, non ha senso non nominarla mai, e c'è da imparare anche qualcosa su di lei, perché questo mio non volerla conoscere non serve a nulla, devo conoscere bene un nemico da sconfiggere.

Ma io non voglio fare la guerra, non sono il tipo, voglio affrontarla come posso, facendole capire che magari ha anche ritenuto di farmi compagnia ora e domani e anche dopodomani, ma non può farla da padrona, eh no cara mia!
Qui c'è stato posto per te, ora lascia un po' di posto per me e lasciami in pace, i conti facciamoli di volta in volta e se qualche giorno ti va io me ne sto a casa a riposare, come vuoi tu, ma, per il resto del tempo, lasciami libera di scordarmi di te, non sei l'unica cosa che ho lo sai?

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Seduto o non seduto faccio sempre la mia parte
con l'anima in riserva e il cuore che non parte.
                                   (Francesco De Gregori)

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Non so perché ma il post viene scritto in grassetto e non riesco a toglierlo.
Comunque il titolo era:
IMPROBABILI CONVERSAZIONI SU FACEBOOK

Ovvero che mentre parli con un’amica che ti fa proprio un sacco sacchissimo piacere sentire, tanto che usi quella chat pessima, ti contatta invece una tipa  che si può definire in un unico modo: orrida!
Un solo e semplice motivo  fa capire tutto quello che c’è sotto.
La tizia si fa vanto di essere una fine latinista nonché conoscitrice di tutto quanto è arte, musica, cultura and so on.
Non ci sarebbe nulla di male se non avesse dato una mazzata di quelle forti a tutto un mondo, una cultura, un sistema di idee, valori, simboli, significati.
E lo ha fatto con una parola, anzi due.
Ovvero prendendo la locuzione latina
Mens sana in corpore sano
 e aggiungendo,
semplicemente,
santaque anima
.

Ecco, lo ha fatto, ha distrutto tutto, ha stravolto il  senso profondo di un mondo privo di tutti quegli stupidi preconcetti,  ricatti morali, sensi di colpa et cetera derivanti dall’uso criminoso (cit.) di una morale pseudo cattolica asservita ai giochi di potere che fanno leva sulla suscettibilità, la paura, l’angoscia delle persone, della gente, del mondo.
Ecco, io con una persona così non ho proprio nulla da dire.

Per la cronaca, la tale persona diceva anche che questa canzone ha una musica che proprio non le piace.
E io queste cose non riesco a perdonargliele.
Ora smetto di sputare sentenze come una zitella inacidita e mi mangio un ghiacciolo alla menta.

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Fa caldo, e io vivo praticamente in mutande.
Non so perché scrivo poco qui, eppure avrei tante cose da raccontare e anche un po’ di tempo libero per farlo.
Io ci sto provando a rimettermi in piedi, dopo il pianto patetico e la disperazione più nera c’è poco da fare, o mi rialzo o faccio una brutta fine, per dirla con le parole di mio padre quando, da piccola, disubbidivo e mi paventava questa tremenda fine, non si è mai capito di che genere.
Non riesco più a prepararmi un caffè decente, ormai dipendo da lui per berne uno come si deve, e il cane quasi non si regge più in piedi, mi fa talmente pena che mi arrabbio con lei.
Ieri sono tornata dalla luminare della psichiatria nostrana, mi ha spiegato in modo molto convincente che io non sono una persona malata.
Se lo dice lei ci credo, ora devo solo capire come fare a vivere, ma è questione di poco, credo.

Che fa caldo già l’ho detto, sì.

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….e ora viaggi, ridi, vivi o sei perduta.

 col tuo ordine discreto dentro al cuore…

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Un bel periodo di merda, non c’è che dire…

Un attacco di panico di quelli da farti decidere -immantinente-  di non mettere mai più piede in quel determinato posto, e in contemporanea di non voler più sopportare un dolore così grande, troppo, troppo da pensare che possa ricapitare, troppo da poter convivere con la paura, anzi la certezza, che se è successo riaccadrà, e ti senti quasi un supereroe a pensare di non essere morta lì, quasi una miracolata, quasi di essere scampata ad un disastro ambientale, ad un terremoto, ad una guerra.

Non riesco a credere che sia finito, che le gambe abbiano smesso di tremare, che quell’odore, quel sapore in gola, quella stretta al petto siano finiti, non ci siano più.

Sono passate più di due settimane, ma sono ancora incredula e provata, e annientata, finora non ero riuscita neanche a parlarne, neanche qui.

Le persone che mi stanno intorno non possono fare nulla, nessuno può farci nulla, e mi sento così disperatamente sola, credo che sia qualcosa che nessuno può capire, anche chi l’ha provato non può capire il dolore di un altro.


E poi l’altra paura, quella della malattia, quella che ti porta a farti fare esami e controlli perché se dovesse essere positivo il responso potresti morire, a breve, e dopo robe decisamente poco piacevoli.

Ma quella per fortuna è andata bene.

Le mie tette sono ancora qui, ancora intere, ancora due, quando mi ero rassegnata a perderne almeno una, ma pare che siano sane, pulite come ha detto quel tizio che me le ha fracassate!


Ora ho una ricetta medica per un accertamento al reparto di salute mentale, ma io non ci credo più.

Andrò più per far piacere a lui, ma a me sembrerebbe più utile lanciarmi dal quarto piano dell’azienda in cui lavoro.

Lo so che sembra una contraddizione temere di morire per un cancro e desiderare di liberarsi dal fardello della sofferenza dell’anima, ma non è così.

Io non volevo essere portata via da una malattia da incubo, io, quando morirò, vorrò sentirmi libera.

 

 


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Con tua moglie che lavava i piatti in cucina e non capiva
con tua figlia che provava il suo vestito nuovo e sorrideva
con la radio che ronzava
per il mondo cose strane
e il respiro del tuo cane che dormiva.
Coi tuoi santi sempre pronti a benedire i tuoi sforzi per il pane
con il tuo bambino biondo a cui hai donato una pistola per Natale
che sembra vera,
con il letto in cui tua moglie
non ti ha mai saputo dare
e gli occhiali che tra un po' dovrai cambiare
Com'è che non riesci più a volare?

Con le tue finestre aperte sulla strada e gli occhi chiusi sulla gente
con la tua tranquillità, lucidità, soddisfazione permanente
la tua coda di ricambio
le tue nuvole in affitto
le tue rondini di guardia sopra il tetto.
Con il tuo francescanesimo a puntate e la tua dolce consistenza
col tuo ossigeno purgato e le tue onde regolate in una stanza
col permesso di trasmettere
e il divieto di parlare
e ogni giorno un altro giorno da contare
Com'è che non riesci più a volare?

Con i tuoi entusiasmi lenti precisati da ricordi stagionali
e una bella addormentata che si sveglia a tutto quel che le regali
con il tuo collezionismo
di parole complicate
a tua ultima canzone per l'estate.
Con le tue mani di carta per avvolgere altre mani normali
con l'idiota in giardino ad isolare le tue rose migliori
col tuo freddo di montagna
e il divieto di sudare
e più niente per poterti vergognare
Com'è che non riesci più a volare?

Ecco, io volevo scrivere più o meno una roba del genere quando questa mattina ho aperto la pagina di Splinder, ma poi, pensando e ripensando, le parole giuste mi sembravano queste del Signore che ho citato sopra, e allora ho deciso di postarla tutta la canzone.
Non ho molte cose interessanti da scrivere, la primavera poi mi ha sempre messo una tristezza infinita.
Sono una madornale scassamaroni, scrivo sempre che sto male, che sono triste, che tutto passa, che dobbiamo morire, mi sento un po' come Savonarola con Troisi. Ma è così.
Qualche giorno fa scherzavo con lui, mi lamentavo del fatto che non mi regala mai fiori, e lui, serissimo, mi ha chiesto: perché sei morta? Sostenendo che è meglio regalarmi cose che fanno parte della mia vita da viva.
Sarà per questo che continua a comprarmi cioccolata, la mia casa straripa di fondente-al latte-bianco-ai cereali-nocciolato di tutte le forme e le dimensioni.
Quando gli chiedo perché vuole farmi diventare chiatta (grassa in napoletano, per chi non lo sapesse) lui mi risponde che sono bellissima, e allora capisco che non capisce che noi donne vogliamo sentirci dire che siamo magre, anche quando non è vero.
Ma lui è troppo concreto per questo genere di cose, ed è una delle fortune più grandi della mia  vita quella di avere accanto un uomo coi piedi per terra e con le mani che mi stringono forte.
E che se provo a esprimere un desiderio non c'è nulla che io desideri di più che stare accanto a lui tutta la vita.
C'è solo da capire cos'è che mi impedisce di volare, perchè alla sera vado a dormire pensando che un altro giorno è finito e non ritornerà, come le merende e il brodo di pollo di Nanni Moretti.
Devo smetterla di addormentarmi coi film di Moretti in sottofondo, potrebbe essere un inizio.

 

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Questa settimana è un po’ volata e un po’ no, me la sento tutta sulle spalle, ho lavorato assaj assaj, e sinceramente non è che mi è parso tanto che il lavoro renda liberi, comunque.

La notizia vera è che il mio lavoro di talent scout, che è poi in realtà quello di scoprire stelle del nostro firmamento musicale che hanno nomi bislacchi e non solo, va avanti. Perché oggi, non so come, mi è tornata in mente una canzone che mi madre mi cantava sempre da piccola, e sì che di solito ai bambini non si fa sapere neanche che fine fa la madre di Bambi, mia madre invece ci andava sempre giù durissima, ed è così che, canticchiandola, l’ho cercata e trovata sul tutubo. Trattasi della celeberrima Odio mio figlio del celeberrimo Filippo Schisano, canzone agghiacciante, cantata da mia madre, stonatissima di natura, acquisiva poi del macabro, e non scherzo.

Il video è stato però la vera rivelazione, un trionfo di kitsch, comicità, paradosso e anche una spruzzatina di neomelodico che non guasta.

Sono passata da qui a fare una veloce ricerca sul nostro artista leggendone la biografia su wikipedia, ho capito che la musica italiana, a ben guardare, ha tanto da darci, basta saper scavare, ma a fondo, proprio a fondo per scovare perle di tale incommensurabile valore.

Ora io chiedo, quasi a titolo di favore personale, a chiunque abbia qualche minuto di tempo per farsi una risata, di guardare attentamente questo video ascoltando altrettanto attentamente le parole.

Giuro che ne vale la pena, giuro.

 


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Troppa vita sociale non fa per me.
Il concerto di Guccini è stato come sempre emozionante.
Adesso però mi riprendo un po’ di solitudine.

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