Archivi del mese: agosto 2009

Sin da piccola ho avuto un’immaginazione molto fervida. Ma se gli altri bambini sognavano di avere sueprpoteri per volare o diventare invisibili o di vivere in paesaggi esotici e magici, io la usavo principalmente in due modi.

Il mio superpotere preferito era quello che mi consentiva di far materializzare qualunque cosa disegnassi, ed era bellissimo.

L’altro gioco invece consisteva principalmente nel poter essere un’altra me, una sorta di mio doppio che mi consentisse di vedermi dal di fuori, e dal di fuori di parlare di me con gli altri: amici, parenti, compagni di scuola.

Quest’altra me, del tutto identica a me, veniva fuori così, ex abrupto, e prendeva il mio posto, dava voce alla vera me, quella nascosta, dicendo tutto quello che io non avevo mai avuto il coraggio o l’occasione di dire, gestiva le situazioni come avrei desiderato fare io, stupiva tutti con questa improvvisa rivelazione della me posticcia.

Ancora oggi mi capita di far rivivere questo mio doppio, mi capita di pensare a come lei, quell’altra, quella tosta, quella saggia, quella capace, quella giusta, dicevo mi capita di pensare  a come si sarebbe comportata in una data situazione, a quali parole avrebbe usato etc.

Inoltre all’altra me capitano sempre un sacco di cose stupende,  oddio, a volte anche bruttissime, ma lei in qualche modo ne viene fuori sempre e comunque vincente, ed è proprio fighissima.

All’altra me però  ad un certo punto devo schiacciare il tasto off, o a limite di stand-by, ed io, questa vera in carne ed ossa (soprattutto carne), rimango qui a pensare di essere completamente pazza, di soffrire probabilmente di un disturbo della personalità latente, ma neanche tanto latente se vogliamo.

Se fossi nata qualche decina di anni dopo sicuramente il computer e i videogiochi avrebbero bloccato sul nascere queste mie farneticazioni.

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Sarebbe anche carino mettere su una bancarella, sgangherata e colorata, e vendere panini.
Io me ne stare lì a farcirli di funghetti e melanzane, prosciutto e salsicce, insalata e patatine.
E poi, dopo aver sfamato le genti, tornarmene a casa mia, con la testa vuota e le gambe stanche.
Potrebbe essere un modo per vivere felici.

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E’ comparsa oggi sul giornale la notizia, e io lo sapevo che prima o poi sarebbe arrivato anche questo momento, copincollo solo parte della notizia

Mamaluk, la regina dei topi «sfrattata»

NAPOLI – Mancava all’appello questa mattina, mercoledì 26, la cosiddetta «regina dei topi», residente, si fa per dire, ormai da mesi, su un bastione alla base delle trecentesche torri angioine di via Marina. «Sfrattata» dal suo giaciglio da un intervento di pulizia e bonifica ordinato dal Comune ed eseguito di buon’ora dalla polizia municipale.

A due passi dalla stazione e dal porto di Napoli, ma più di tutto dalla Caritas, Mamaluk, anche questo un soprannome visto che la vera identità della donna che ha scelto di vivere su un giaciglio di fortuna è sconosciuta, non ha opposto resistenza alle richieste degli agenti di allontanarsi. Del resto affacciata sulla grande arteria di collegamento tra periferia e città, stazione e porto e per questo popolare tra turisti, cittadini e pendolari, l’invito dei caschi bianchi non deve averla impressionata più di tanto. Considerato anche che già altre volte era stata «sfrattata» dalle autorità.

 

 


Ecco, io quella donna l’ho vista tante vole e lei mi ha guardato tante volte con quegli occhi che vedevano chissà cosa.

E io ogni volta ho sempre pensato che lei quella soglia l’aveva oltrepassata senza paura, quella soglia della paura che invece a noi ci tiene al di qua.

Chissà cosa si diceva allo specchio Mamaluk, chissà!

E chissà adesso dove andrà.

 

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che fatica essere donna
specie se stai per andare un weekend al mare e ti prepari togliendo anche l’ultimo dei tuoi invisibili peli superflui consapevole del fatto che tanto in spiaggia non ci andrai
e quindi non ti porti neanche il costume da bagno

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I miei ritmi biologici seguono dei corsi stagionali che ricorrono con estrema precisione.

Così, mentre d’inverno non riesco a dormire prima delle 2 circa e alzarmi al mattino diventa un’impresa titanica, d’estate le cose si invertono completamente, vado a letto presto e mi alzo prestissimo al mattino, quando la città è addormentata e c’è addirittura un po’ di fresco in cucina mentre preparo la colazione.

Ad onor del vero quest’anno l’inversione di tendenza si è fatta un po’ aspettare, ma erano giorni che presentivo il suo arrivo, fino a ieri sera — segue dettagliata cronistoria delle vicende della sottoscritta:

Alle ore 22.15, i motorini corrono lungo il corso, la pizzeria sotto casa è affollata di gente che mangia ripieni fritti e pizze margherita, il bar è popolato da gente che sorseggia bibite fredde e lui cerca di organizzare la serata da trascorrere insieme dopo la cena.
Jelinek si lava frettolosamente, si stende sul letto completamente nuda e si addormenta.
Si sveglierà una prima volta alle 2 del mattino, ovvero quando lui la raggiunge a letto e comincia a leggere il suo libro, e poi, definitivamente, alle ore 6.45.
A quel punto ha dormito le sue otto ore e più… si prepara la colazione e gironzola per casa.
Alle ore 9.00 due capitoli di Amado sono già stati letti, alle ore 9.30 il pranzo è già pronto in frigo (insalata di pasta) e alle ore 10 ha già voglia di rimettersi a letto accanto a quell’uomo che dorme serenamente.

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L’acqua -liscia

Il caffè -amaro

Il latte -scremato

Ogni cosa un suo perché

Mi rendo conto di non essere una persona facile con cui vivere, e non solo per alcune futili specifiche.
In ogni gesto che faccio, dietro ogni scelta, una motivazione ben precisa e mille piccole manie e fissazioni, come quella di lavare accuratamente la saponetta delle mani dopo averla utilizzata.

E non so se riuscirei a sopportare una persona come me.

Lui ci riesce, e non credo solo in nome di una pazienza infinita che in ogni caso gli si può/deve attribuire.

Eppure ogni singolo istante sto lì a chiedermi perché abbia  scelto me non un’altra, e sto lì ad aspettare il momento in cui quell’altra arriverà.

Qualche giorno fa a lavoro gli hanno affiancato una novella biondina dalle tette molto in vista, ma moooolto in vista, la scena di loro due davanti al monitor del pc è stata un colpo al cuore: non riesco a togliermela dalla testa.
Lei che pendeva dalle sue labbra e lui che con serietà le spiegava dettagliatamente cosa fare.

E poi
         il suo sguardo su di me, quello sguardo pulito e semplice, quello sguardo aperto e sincero, ancora una volta a dirmi ti amo.

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Scrivo dalla mia nuova casa, dalla nostra nuova casa.
La prima casa affittata con soldi nostri, la prima casa arredata da noi, coi nostri magri stipendi.
La prima casa MIA, la prima casa NOSTRA.
E c’è ancora tanto da fare, e stanno venendo fuori tutti i difetti che finora non avevamo notato, e sono tanti, perché la casa non è che sia di recente costruzione, e il posto è più popolare di quello che sembrava, e alcune finestre non chiudono bene, e ancora non ho la lavatrice e da stamattian non faccio che lavare panni a mano.
Sono stanca, sempre indaffarata e sempre malinconica, mi manca la vecchia casa,  le vecchie abitudini, le vecchie sicurezze.
Però qui ci sono io e c’è lui, e la nostra libreria che copre tutta la parete del soggiorno e che ospita quasi 500 libri, e il divano di jeans e la tenda arancione, e le videocassette ordinate, e la cucina colorata, e il letto e il suo odore.
Ora mi sento avvilita, mi sembra che ci sia solo da lavorarci, ancora e ancora.
Ma è casa MIA, è casa NOSTRA.
Per il momento c’è, è qui, e ci ospita.
E c’è una targhetta al citofono coi nostri nomi e c’è sull’elenco un numero solo nostro ed è tutto tremendamente confuso, e bello, e difficile, e complicato, e faticoso, e sereno, e…

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Sarà che tutta la vita è una strada con molti tornanti,
e che i cani ci girano intorno con le bocche fumanti,
che se provano noia o tristezza o dolore o amore non so.
Sarà che un giorno si presenta l’inverno e ti piega i ginocchi,
e tu ti affacci da dietro quei vetri che sono i tuoi occhi,
e non vedi più niente, e più niente ti vede e più niente ti tocca.
Sarà che io col mio ago ci attacco la sera alla notte,
e nella vita ne ho viste e ne ho prese e ne ho date di botte,
che nemmeno mi fanno più male e nemmeno mi bruciano più.
Dentro al mio cuore di muro e metallo dentro la mia cassaforte,
dentro la mia collezione di amori con le gambe corte,
ed ognuno c’ha un numero e sopra ognuno una croce,
ma va bene lo stesso, va bene così.
Chiamatemi Mimì, chiamatemi Mimì.

Per i miei occhi neri e i capelli e i miei neri pensieri,
c’è Mimì che cammina sul ponte per mano alla figlia
e che guardano giù.
Per la vita che ho avuto e la vita che ho dato, per i miei occhiali neri,
per spiegare alla figlia che domani va meglio, che vedrai, cambierà.
Come passa quest’acqua di fiume che sembra che è ferma,
ma hai voglia se va, come Mimì che cammina per mano alla figlia,
chissà dove va.
Sarà che tutta la vita è una strada e la vedi tornare,
come le lacrime tornano agli occhi e ti fanno più male,
e nessuno ti vede, e nessuno ti vuole per quello che sei.
Sarà che i cani stanotte alla porta li sento abbaiare,
sarà che sopra al tuo cuore c’è scritto "Vietato passare",
il tuo amore è un segreto, il tuo cuore è un divieto,
personale al completo, e va bene così.
Chiamatemi Mimì, chiamatemi Mimì.

Per i miei occhi neri e i capelli e i miei neri pensieri,
c’è Mimì che cammina sul ponte per mano alla figlia
e che guardano giù.
Per la vita che ho avuto e la vita che ho dato, per i miei occhiali neri,
per spiegare alla figlia che domani va meglio, che vedrai, cambierà.
Come passa quest’acqua di fiume che sembra che è ferma,
ma hai voglia se va, come Mimì che cammina per mano alla figlia,
chissà dove va.
(Francesco De Gregori)

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In realtà ho anche voglia di fumarmi un’insana sigaretta.
Sto pensando di comprarne un pacchetto da tenere in casa e fumarne una ogni tanto.

L’odore di sigaretta è quello che c’era in casa mia da piccola, quando facevo i compiti di matematica con mio padre, e i disegni geometrici, e quando per caso mi capita di sentire quell’odore io sento che tutto è più facile, e sono più serena, e mi rilasso.

Però mi sento un’idiota, perché lo so che fa male, ho letto di tutto di più, e quando anni fa fumavo abbastanza regolarmente fu un articolo di Veronesi a convincermi a buttare il resto del pacchetto che avevo in borsa.
Penso che sia da irresponsabili, da ignoranti, da stupidi inserire del veleno nel proprio corpo, e che se uno cominciava a fumare quarant’anni fa non lo sapeva mica che faceva così male, e allora se adesso non riesce a smettere amen, è difficile, si sa, ma cominciare così, ex abrupto, è proprio sciocco!

Ma resta il fatto  che ora c’ho proprio voglia.

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