Il mio superpotere preferito era quello che mi consentiva di far materializzare qualunque cosa disegnassi, ed era bellissimo.
L’altro gioco invece consisteva principalmente nel poter essere un’altra me, una sorta di mio doppio che mi consentisse di vedermi dal di fuori, e dal di fuori di parlare di me con gli altri: amici, parenti, compagni di scuola.
Quest’altra me, del tutto identica a me, veniva fuori così, ex abrupto, e prendeva il mio posto, dava voce alla vera me, quella nascosta, dicendo tutto quello che io non avevo mai avuto il coraggio o l’occasione di dire, gestiva le situazioni come avrei desiderato fare io, stupiva tutti con questa improvvisa rivelazione della me posticcia.
Ancora oggi mi capita di far rivivere questo mio doppio, mi capita di pensare a come lei, quell’altra, quella tosta, quella saggia, quella capace, quella giusta, dicevo mi capita di pensare a come si sarebbe comportata in una data situazione, a quali parole avrebbe usato etc.
Inoltre all’altra me capitano sempre un sacco di cose stupende, oddio, a volte anche bruttissime, ma lei in qualche modo ne viene fuori sempre e comunque vincente, ed è proprio fighissima.
All’altra me però ad un certo punto devo schiacciare il tasto off, o a limite di stand-by, ed io, questa vera in carne ed ossa (soprattutto carne), rimango qui a pensare di essere completamente pazza, di soffrire probabilmente di un disturbo della personalità latente, ma neanche tanto latente se vogliamo.
Se fossi nata qualche decina di anni dopo sicuramente il computer e i videogiochi avrebbero bloccato sul nascere queste mie farneticazioni.