Quando ero una giovane liceale sfigatella ogni anno riempivo la mia Smemoranda con immagini, foto, gadget, scritte colorate e fiori essiccati.
Io però, siccome ero diligente e giudiziosa, ci segnavo anche i compiti, così che alla fine dell’anno scolastico il mio diario sembrava una copia manoscritta e miniata della SacraBibbia.
Ogni anno, il 14 febbraio, scrivevo questa frase al centro della pagina:
San Valentino
è la festa di ogni cretino,
che crede di essere amato
e invece è soltanto fregato.
Però poi disegnavo anche tanti cuoricini e pensavo all’Amore.
C’è da dire che ricevevo sempre, dall’imbranato corteggiatore di turno, i BaciPerugina (ora, sui BaciPerugina dovrei scrivere un post a parte, perché rappresentano il mio tallone d’Achille in riferimento alla mia incapacità di boicottare questo prodotto commerciale/alla moda/Nestlé. E io devo ammettere, magno cum pudore, di mangiarli, e neanche tanto di rado: sono troppo buoni!)
Io ero convinta che da adulta il mio principe azzurro, l’uomodellamiavita, il masculo, il tizio che avrebbe fatto di me una donna onesta, quello che doveva venire da Marte, o’ pat’ r ‘ e ccriatur mej, insomma il lui mi avrebbe sommerso di mazzi di rose rosse dal gambo lungo, di scatole enormi di cioccolatini con tanto di frase selezionata da scrittori del calibro di Federico Moccia, e a SanValentino mi avrebbe proposto di sposarlo regalandomi un diamante grosso come un pugno.
Fortunatamente, col passar degli anni, oltre alle tette è cresciuto anche il cervello, lo so che non si direbbe, eppure da qualche parte c’è, e ogni tanto torna a farsi un giro e a ricordarmi di lui, per la serie “tienimi presente”.
E così oggi, in un tripudio di sbaciucchiamenti e piagnistei di cuori infranti io sono qui, e a casa mia non ci sono rose in giro, e per quanto riguarda i cioccolatini stiamo ancora attingendo al cassetto stracolmo della cucina, cassetto che ha accolto tutte le regalie natalizie che non abbiamo riciclato come regali alla suocera.
Però in queste stanze, dove la cosa più simile ad un fiore è la stampa dei Girasoli di Van Gogh che troneggia sul divano di fronte al televisore, c’è con me un uomo che potrei definire quanto di più stimabile io mi aspetti che sia una persona.
C’è un uomo buono, intelligente, sensibile, colto, paziente, ironico, sensuale, coraggioso, concreto.
C’è un uomo che mi dà tutto, che mi ama al punto che io so, per certo, che pur di farmi felice farebbe qualsiasi cosa, un uomo con cui ogni giorno passato insieme diventa più bello.
Un uomo che amo, che stimo, che desidero, quello che voglio vedere ogni mattina appena apro gli occhi, il cui respiro voglio sentire sulla mia pelle e le cui mani voglio mi avvolgano e mi tengano stretta.
Un uomo che mi ha dedicato (non oggi) questa poesia:
Toglimi il pane, se vuoi,
toglimi l’aria, ma
non togliermi il tuo sorriso.
Non togliermi la rosa,
la lancia che sgrani,
l’acqua che d’improvviso
scoppia nella tua gioia,
la repentina onda
d’argento che ti nasce.
Dura è la mia lotta e torno
con gli occhi stanchi,
a volte, d’aver visto
la terra che non cambia,
ma entrando il tuo sorriso
sale al cielo cercandomi
ed apre per me tutte
le porte della vita.
Amor mio, nell’ora
più oscura sgrana
il tuo sorriso, e se d’improvviso
vedi che il mio sangue macchia
le pietre della strada,
ridi, perché il tuo riso
sarà per le mie mani
come una spada fresca.
Vicino al mare, d’autunno,
il tuo riso deve innalzare
la sua cascata di spuma,
e in primavera, amore,
voglio il tuo riso come
il fiore che attendevo,
il fiore azzurro, la rosa
della mia patria sonora.
Riditela della notte,
del giorno, della luna,
riditela delle strade
contorte dell’isola,
riditela di questo rozzo
ragazzo che ti ama,
ma quando apro gli occhi
e quando li richiudo,
quando i miei passi vanno,
quando tornano i miei passi,
negami il pane, l’aria,
la luce, la primavera,
ma il tuo sorriso mai,
perché io ne morrei.
Pablo Neruda