Archivi categoria: amore

Mi sembra di non riuscire più a comunicare, e di non averne più neanche troppa voglia.

Continuo a contare i giorni e a guardare l'agendina dell'anno scorso, perché è passato esattamente un anno da quando ho scoperto di essere malata, o meglio per il momento è passato esattamente un anno da quando è cominciato l'attacco che mi ha fatto scoprire di esserlo.  

Giorni che rivivo e ricordo la paura che da quel momento si è solo trasformata, e questa gamba che da ieri dà fastidio mi allarma più del dovuto, perché trovare coincidenze e pseudodisegni astrali mi è sempre piaciuto fin troppo, e sarebbe un tremendo scherzo del destino ritrovarmi esattamente dopo un anno a stare male.

 In questi mesi, ma soprattutto in queste ultime settimane, sono cambiata tanto, ho fatto tante cose, come per esempio l'insegnante per davvero, con due classi difficili e una scuola dove non ti danno nulla, neanche i libri di testo per supporto alle lezioni. E stare in classe non credevo fosse così difficile e così semplice ad un tempo.

Poi sono uscita da sola, per brevi, troppo brevi, tratti, ma da sola, con le mie gambe traballanti e il mio cuore in tumulto.

E ho riflettuto tanto, troppo, sulle cose ma soprattutto sulle persone, e sul mio modo di relazionarmi alle persone, sbagliato, al volte malato, perché ne ho troppo bisogno.

Mi vanto di riuscire a stare da sola, e questo è vero, se consideriamo la mia capacità di starmene per i fatti miei intere giornate piene di tutti i miei interessi, i miei silenzi, e le mie canzoni, le parole scritte e ascoltate, le immagini, i profumi e i sapori, ma il mio bisogno degli altri è sempre troppo, come se mi servisse sempre qualcuno che mi guarda per poter esistere, come se non riuscissi ad esistere per me, per il semplice fatto per cui il verbo essere può anche darsi come transitivo.

Non mi do grande importanza, oltre quella assoluta e malata che impongo nel mio rapporto col tu.

Non mi do l'importanza giusta, ecco.

Non so amare e non mi so amare, semplicemente.

Non c'è bisogno, detto questo, di aggiungere molto altro.

3 commenti

Archiviato in amicizia, amore, autoanalisi, dentro, lavoro, racconti, ricordi, riflessioni, salute

ZERO

Misurare la distanza fra quello che sono e quello che penso, o meglio ancora dico di essere. 
Uno squarcio improvviso sul mio mondo e sul tempo che passa, i momenti che finiscono, le persone e le situazioni che cambiano. 
Il tempo passa e cambio anch'io, e così un giorno mi guardo allo specchio senza riconoscermi, e senza il coraggio di scoprire davvero chi sono, chi sono diventata, quanto è lunga la distanza che mi separa tra quella che sognavo di essere, che speravo di essere, che credevo di essere.
I giorni come passi di un cammino che non si sa bene né quando né dove è cominciato, e soprattutto non si sa dove porterà, posto che ci sia una meta, o molto più semplicemente un punto di arrivo casuale, quello dove ci si ferma per il più banale dei motivi.
I sentimenti del cuore, che un giorno sembrano così forti, e che hanno colori così netti, e poi all'improvviso diventano effimeri, come illusioni di specchi, e il cuore un tempo così sicuro, così determinato, così tranquillo, comincia a battere un ritmo nuovo, e che non riconosco, mi spaventa, e mi dice che sono viva, che sto vivendo, che voglio vivere. 
E tutto diventa tremendamente più complicato, che non è mica facile guardarsi dentro e ammettere a se stessi che quello che si desidera non è quello che si credeva di desiderare. 
Basterebbe un po' di coraggio per darlo quel morso alla vita, assaporare il gusto del nuovo, senza il timore di perdere quella che è abitudine da troppo tempo, ma quel po' di coraggio è così lontano, così soffocato dalla quotidianità di una routine che  dà l'illusione della felicità, o della serenità. 
Ed è la serenità che lentamente mi spegne, e uccide quella che desidererei  essere, fino a farmi riconoscere nello specchio per quella che sono, azzerando in ultimo le distanze. 

Lascia un commento

Archiviato in amicizia, amore, autoanalisi, dentro, riflessioni

Quanto una donna riesca a sentirsi fiera di se stessa per essere riuscita a non mangiare assolutamente nulla dopo cena, nonostante avesse voglia di mangiucchiare ancora qualcosa, è una percentuale direttamente proporzionale alla sua idiozia.
Quanto lo stomaco che ancora brontola un po' le dia un senso di pace e serenità, e il fatto di riuscire ad ignorarlo le dia una sensazione di vittoria, è ancor più sintomatico delle dimensioni infinitesimali del cervello della suddetta. 
Una donna affamata si sentirà sempre in diritto di reclamare per sé amore, attenzione, bellezza. 
Una donna sazia sentirà sempre un vago senso di colpa e inferiorità.
Una donna con la d maiuscola è quella che riesce a star serena con lo stomaco pieno, né vuoto, né saturo, ma pieno al punto giusto, al punto in cui è sano.
Una donnetta sentirà sempre il bisogno di sentirsi invidiare dalle altre per quanto è dimagrita, e il come non importa. E il bisogno di sentire su di sé sguardi carichi di desiderio da parte degli uomini.
Una donna con la d maiuscola è quella che si guarda allo specchio e sorride, e non solo per far sì che la pelle del viso sia più tirata, fino a non mostrare neanche il minimo accenno di doppiomento.
Una donan confusa, affamata, grassa, stanca come me farebbe meglio ad andare a letto. Adesso.

3 commenti

Archiviato in amicizia, amore, autoanalisi, cibo, dentro, riflessioni, scazzo, scene di ordinaria follia

Che sono diventata proprio una donna frivola, prima mi vestivo per coprirmi, ora mi scopro anche un po' troppo, a quanto dice qualcuno che coabita con me. 

Mi sono innamorata di una minigonna troppo mini e troppo costosa, e davvero ci sto pensando di andarla a comprare, io prima non è che esattamente pensavo a queste cose. 
Tra l'altro mi son fatta fare tre scontrini alla cassa perché dopo i pantaloni mi piacevano i braccialetti, e ok, un altro scontrino, poi, prima di uscire, mi piaceva anche la collana, e allora un altro conto, penso che la cassiera mi abbia lanciato un anatema potentissimo e che domani io sarò colta da un attacco di lombosciatalgia o qualcosa del genere.

Per il resto mangio gelati, tanti, troppi, e bevo caffè, anche quelli tanti, troppi, troppissimi!

Non sono molto in forma, ma cerco di non pensarci, e aspetto un momento migliore, ma questo qui non voglio buttarlo via, e allora lo giro e lo rigiro per cavarne comunque qualcosa di buono, in tempi di carestia mangiavano anche la scorza delle patate.

E cucino, la pancia di chi frequenta la mia casa lievita spropositatamente, e io me ne compiaccio. 
Stasera zuppa di pesce, dopo gli spaghetti con le vongole dell'altro ieri, e la pasta al gratin di ieri… domani non so, ma mi diverto ad indossare il mantesino e riempire piatti altrui, i miei rimangono sbiaditi e insapori, ma a me piace proprio così.
Se una cosa non sa di niente a me piace. E la pasta in bianco, con olio e parmigiano, è il piatto più gettonato dalla sottoscritta, seguito dalla fresella col pomodorino e dagli immancabili bastoncini di pesce.
Il mio lui si vergogna di portarmi al ristorante che ordino sempre il menù dei bimbi.

Mi hanno regalato un vaso, ma non ci ho messo dei fiori dentro, mi piacciono tanto, eppure in casa, con lo stelo  tranciato di netto, mi fanno tristezza, e i tulipani me li immagino in Olanda, e le rose nei roseti e le fresie nei campi, resta il problema di dove mettere il vaso, per ora resta qui sulla scrivania.

Ho rivisto per la millesima volta Miseria e Nobiltà ridendo a crepapelle e Nuovo cinema paradiso, e poi ho visto anche Benvenuti al Sud, lo danno su Sky e, in più riprese, sono riuscita a mandarlo giù tutto, continuando per tutto il tempo a chiedermi come si possa pagare un biglietto al cinema per vederlo. E come si possa far sì che sia considerato da tanti il film dell'anno. Se ho riso tre volte è tanto, e solo perché certe scene me ne ricordavano alcune ben più divertenti che vedo quotidianamente solo affacciandomi al balcone, col culo coperto si spera.

Il mio vicino di qualche post fa continua ad imbarazzarmi tremendamente, ma un educato ciao glielo dico sempre.

La gente intorno a me continua a fare figli, tanti figli, fagottini urlanti e alle volte puzzolenti, e spesso anche carini e dolci, e mai che mi facciano venire un vero desiderio di maternità.

Fa ancora tanto caldo, ma abbiamo resistito ad agosto, vinceremo in quest'inizio afoso di settembre.

Non esistono più le mezze stagioni e si stava meglio quando si stava peggio.

10 commenti

Archiviato in amicizia, amore, arte, autoanalisi, cavolate varie, cibo, cinema, citazioni, dentro, lui, poveraitalia, racconti, riflessioni, salute, scazzo, scene di ordinaria follia, vita

Lui scatta foto a lei. 
Lei viene notoriamente male in foto. 
Lei odia vedersi in foto.
Lei odia vedersi in generale, ma questo è un altro racconto.
Lei ha il volto stanco e senza l'ombra di trucco e i capelli raccolti in un improbabile chignon.
Lui, dicevamo, le scatta foto all'improvviso, lei, abilissima, fugge l'obiettivo e, col suo tono da maestrina, lo rimprovera: 
lo sai che vengo male e che non sopporto di vedermi in foto, conciata così per giunta!
e lui:
– ma stai bene, non c'è un momento in cui sei meglio di così.
Lo sai che mi piaci al naturale, come il tonno…

 

No comment

 

1 Commento

Archiviato in amore, cavolate varie, lui, racconti, scene di ordinaria follia, vita

Bruci la città 
e crolli il grattacielo 
rimani tu da solo 
nudo sul mio letto.

Bruci la città 
o viva nel terrore 
nel giro di due ore 
svanisca tutto quanto 
svanisca tutto il resto. 

E tutti quei ragazzi come te 
non hanno niente come te 
io non posso che ammirare 
non posso non gridare 

che ti stringo sul mio cuore 
per protegerti dal male 
che vorrei poter cullare 
il tuo dolore il tuo dolore. 

Muoia sotto un tram 
più o meno tutto il mondo 
esplodano le stelle 
esploda tutto questo. 

Muoia quello che è altro 
da noi due almeno per un poco 
almeno per errore. 

E tutti quei ragazzi come te 
non hanno niente come te 
io vorrei darmi da fare 
forse essere migliore 

farti scudo col mio cuore 
da catastrofi e paure 
io non ho niente da fare 
questo e quello che so fare 

Io non posso che adorare 
non posso che leccare 
questo tuo profondo amore 

questo tuo profondo 
non posso che adorare 
questo tuo profondo 

2 commenti

Archiviato in amore, arte, citazioni, lui, musica

Io aspetto che la mia mano torni, perché tornerà.
La notte, prima di addormentarmi, la affido a lui.
Al mattino si muove tutto e ho un motivo per essere felice. 
Se tornassero anche il pollice e l'indice sarebbe stupendo. 
Perché ieri in quel camerino non riuscivo a chiudere il reggiseno, e per un po' ho sentito uno sconforto più forte della forza di voler stare lì in giro, a comprare vestiti con le mie amiche, e gli smalti colorati e il gelato e le risate e le chiacchiere. 
Ma io sono più forte di questa merda, e se la mano se la prende comoda io sono paziente, e sto qui ad aspettarla e la muovo lo stesso, e non mi frega!!!
E tornerà, oh se tornerà…

 

4 commenti

Archiviato in amicizia, amore, salute, vita

I due sono a tavola, mangiano e chiacchierano come al solito.
Si parla di quanto sia bella la libertà di avere una casa propria senza dover dar conto delle piccole cose a nessuno, senza regole se non quelle dettate dalle proprie esigenze etc.
Lui si fa pensieroso e aggiunge: tranne quelle di Jelinek
Lei precisa: guarda che le mie "regole" sono già un compromesso
e lui: fra chi? Fra te e Hitler?

1 Commento

Archiviato in amore, cavolate varie, lui, scene di ordinaria follia, vita

Fondamentalmente d'estate sono triste, lo sono sempre stata, ancor più se c'è un motivo per esserlo. Col caldo tutti i fastidi causati dalla malattia stanno prepotentemente mettendo alla prova il mio umore ballerino, i miei nervi già provati, la mia (in)stabilità psicofisica. 

Per giunta nel mio palazzo sembra che d'estate sia tremendamente urgente fare lavori di ristrutturazione ogni mattina, e così, dall'alba, si sentono risuonare trapani, martelli e altre diavolerie di cui non distinguo il verso e di cui non conosco l'uso.

E però qui ci vuole una reazione da parte mia, perché pare che se mi lascio andare la risposta immunodepressiva (così dicono) può farmi star peggio, e io non voglio star peggio, credo che questo non voler stare male già basti come spunto per ripartire.
Se non ci fosse un'afa avvilente e i rumori e l'idiozia della gente sarebbe tutto molto più facile.
Perché non posso non rimanere male se qualcuno mi dice che sì, c'è un'altra ragazza che ha la mia stassa malattia, però lei ha due bambine piccole e quindi… come se la mia vita, poiché non sono madre, valesse di meno, come se io soffrissi di meno, come se io fossi meno importante, come se i miei sogni, il mio fturo, le mie speranza fossero tutti in secondo piano perché non sono madre. 
Mi ha sempre fatto molta rabbia questo modo generalizzato di giustificare fatti, cose e persone in virtà di un'eroica maternità.
Nessuno neanche lontanamente ad immaginare che forse io, anche solo per questo, mi sento già mortificata, e non sto dicendo che avrei fatto un figlio adesso, no, sto dicendo che però, se volessi, non potrei, e penso che questa cosa sia già di per sé sufficientemente dura da mandare giù, sarebbe meglio evitarmi certe mazzate. 

Sono cresciuta guardando al futuro con fiducia, speranza, propositività, ho sempre pensato che l'impegno, le capacità, il valore e tutte quelle cose belle avrebbero portato qualcosa, avrebbero avuto giustizia, e scopro che non è così, che il futuro ci toglie, che la vita ci mortifica, perché nel cuore della tua vita scopri che sarà tutto molto più difficile del previsto, e per te, che non hai neanche il conforto della fede, della dimensione trascendentale, dell'illusione post mortem, è dura da accettare che non solo sia tutto qui, ma che, per giunta, sia proprio così.
E allora ti aggrappi a quelle cose che ti hanno tenuto in vita: l'amore, gli affetti, l'humanitas, la tensione verso la giustizia, l'onestà e tutte quelle altre belle parole, l'arte, la letteratura, la musica, il cinema…  e però è difficile, è  dura se ogni giorno poi devi fare i conti con un lavoro che ti mortifica, e la gente che non capisce, e la malavita che ti impedisce di scorgere un senso di giustizia nelle cose, e la spazzatura per le strade, e le persone che ti amano che non sanno come starti accanto.

Perché stare accanto a me non è mai stato facile, stare accanto a me adesso è qualcosa che supera i limiti delle umane possibilità di buoan riuscita.
 

E un futuro invadente, fossi stata un po' più giovane, l'avrei distrutto con la fantasia, l'avrei stracciato con la fantasia…

2 commenti

Archiviato in amicizia, amore, arte, autoanalisi, citazioni, dentro, famiglia, lavoro, lui, poveraitalia, racconti, ricordi, riflessioni, salute, scene di ordinaria follia, studio, vita

Noi non siamo una coppia di quelle che su Feisbuk si dedica "Il più grande spettacolo dopo il big bang siamo noi, io e teeeeeeeeeeee". 
No, decisamente.
E neanche una di quelle coppie che si fa i regali al compleanno  o a Natale.
Neanche. 
Siamo piuttosto tipi che, alle 4 del mattino, come la notte scorsa, poiché  non hanno sonno fanno sesso, dopo dieci anni di notti insieme, come la prima volta, o meglio, meglio della prima volta e di tutte le altre volte precedenti. Siamo piuttosto una coppia che spinta dalla passione per il frozen yogurt si fa km e km per andarlo a mangiare lì, dove lo fanno buonissimo, e che guarda le puntate dei Simpson ormai imparate a memoria e ride a crepapelle lo stesso quando Homer pensa "mmmmh gelato di revolverate ahahahahah".

Ma non volevo fare un temino su di noi, non avevo a dire il vero uno scopo quando ho deciso di scrivere questo post, ma siccome scrivo sempre che stommmmale, oggi voglio scrivere che sto bene. Oggi sì. 
Sono stata in libreria, e in profumeria, e a mangiare il gelato e a comprare pantaloni, che prendo sempre taglie in cui entro sei volte, e quelli della mia taglia mi sembrano sempre troppo piccoli per me. 

Per il resto sono entrata in fase scazzo estivo mode on:
Giro per casa seminuda con capelli raccolti e vestitini che lasciano poco all'immaginazione, sono più inviperita del solito e più infastidita per le urla violente delle mamme che strepitano al seguito di figli maleducati e irritanti, come quella tipa del supermercato che, mentre imbustava ottocentoeuro di spesa, urlava, più forte dell'aquila che aveva partorito dopo le due scimmie che si appendevano al carrello, e che, nel bel mezzo, intavolava una discussione al cellulare con qualcuna apostrofata "Amooooooo" "Teeesooooooo" etc, seguono sguardi carichi di odio da parte della sottoscritta.

Che poi io al supermercato ci vado con piacere perché osservo le persone, anche se la maggior parte delle volte mi danno sui nervi rendendomi ancora più acida e odiosa del solito. 

Oggi ho incontrato al supermercato di cui sopra una mia responsabile del lavoro, un'emerita idiota nonché orrenda cicciona, e la sua spesa è stata a mio parere un capolavoro (l'ho potuta osservare bene dato che era direttamente prima di me alla cassa).
Comperava, in ordine sparso: confezioni di gelato, nella fattispecie Coppa del nonno al cappuccino e Magum al caramello, una bottiglia di chinotto, due confezioni mini di cioccolato liquido, quello che fa da sciroppo per il gelato, e infine due confezioni di wurstel. Qualcosa che ha lasciato impallidire le mie uova e le mie Cereal yo (ne mangio quantità industriali ultimamente) e la new entry della mia dispensa: una confezione di riso soffiato di cui non conosco ancora lo scopo né il sapore, ma so che diventeremo amici. 
Per il resto sto leggendo un libro di Bukowsky, evitando di sbrigare faccende burocratiche che sarebbe utile ultimare e lavando panni a ripetizione, che quest'anno ogni cosa mi sembra sempre che puzzi di sudore.
Con quest'ultima amenità penso di poter anche chiudere.

5 commenti

Archiviato in amore, cavolate varie, cibo, dentro, lavoro, lui, poveraitalia, racconti, riflessioni, scazzo, scene di ordinaria follia, vita