La parola è chiara, completamento di un anno, l’etimologia non sarà corretta, stasera me ne frego, ma il senso è quello, un altro anno.
Di solito il compleanno è un lieto evento, da festeggiare, e invece quella di oggi è la ricorrenza della morte di quella che io ero. Infatti non si è festeggiato, nessuna bottiglia da stappare, solo il solito tran-tran di casa, lavoro, piagnistei malcelati etc.
Dopo 2 anni il bottoncino dell’iniettore lo premo senza indugi, o quasi, l’ago è familiare e lo stesso dicasi per il bruciore di quel maledetto medicinale che sembra infuocare la mia pelle. Dopo un po’ passa, e lascia solo un pomfo piccolino, che nei giorni successivi cresce, e fa male, e poi scompare. Al mattino dopo l’iniezione sono frastornata, la testa mi fa male e la bocca è secca, sarò l’antipiretico che mi fa venire mal di stomaco, ma, sostanzialmente, faccio la mia vita normale (sì, ho scritto proprio normale, wow), e spesso neanche ci penso, o non ne ho il tempo. E però la rabbia, quella con cui vorrei scagliarlo via quel malefico aggeggio, c’è, sempre nuova, sempre forte, sempre con me, e il perché proprio a me, che nessuno dovrebbe chiederselo, non mi abbandona mai, e lo so che faccio male, ma me lo chiedo, ogni santo giorno, ogni dannato momento, a ogni fottuta difficoltà, ad ogni segno di stanchezza, o tremore della mano, o offuscamento dell’occhio. Io non sono santa, e non pretendo di esserlo, né di sembrarlo, e perciò non accetto col sorriso sulle labbra le difficoltà, no, mi incazzo, vorrei mandarle indietro, rispedirle al mittente, se ci fosse un mittente con cui arrabbiarmi mi farei valere, o sì, ché ne sono ampiamente capace.
Sono incazzata, e basta, e non la voglio questa malattia di merda, non la voglio e basta. Non voglio sorrisi, non voglio carezze, non voglio comprensione, non voglio niente di niente, voglio la prospettiva, voglio sentirmi bene, una volta, almeno un’altra volta, piena di energia, piena di coraggio, piena di entusiasmo, che io, così, non me lo ricordo come ci si sente.