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Mi è venuto proprio bene questo caffè, forse un tantino dolce, ma va bene anche così.
Mi arrabbio col fruttivendolo che alla mia richiesta di un kg di mele gialle me ne ha dato per forza unchiletré.
Mi viene voglia di dormire, e anche un po’ di fumare.
Mi va anche di studiare, poco invece di parlare.
Questa sera l’ultima replica del mostro di Firenze, e devo assolutamente comprare il libro che mi consigliavano qualche post più giù.
Dopo il lavoro mi sono intrattenuta un po’ col portiere e l’autista della navetta che ci porta a lavoro dal parcheggio, penso che il campionario umano che sto conoscendo in questi anni potrebbe fornirmi materiale per scrivere centinaia di racconti.
Ed ora son qui che canticchio Le strade di lei di De Gregori adattandola a  Le strade di Ciro, nel racconto mirabolante dei suoi percorsi per giungere in ogni dove finendo immancabilmente col perdersi.
Il mio sogno erotico attualmente è Max Manfredi.
L’ho detto anche a lui, anche se non credo mi abbia preso troppo sul serio.
Eppure non riesco a non trovarlo tremendamente affascinante in questa performance:

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Penso che sia l’unico a potersi conciare così  per un concerto senza sembrare un coglione!
Anche quando indossa improbabili cappelli.

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Sarà che tutta la vita è una strada con molti tornanti,
e che i cani ci girano intorno con le bocche fumanti,
che se provano noia o tristezza o dolore o amore non so.
Sarà che un giorno si presenta l’inverno e ti piega i ginocchi,
e tu ti affacci da dietro quei vetri che sono i tuoi occhi,
e non vedi più niente, e più niente ti vede e più niente ti tocca.
Sarà che io col mio ago ci attacco la sera alla notte,
e nella vita ne ho viste e ne ho prese e ne ho date di botte,
che nemmeno mi fanno più male e nemmeno mi bruciano più.
Dentro al mio cuore di muro e metallo dentro la mia cassaforte,
dentro la mia collezione di amori con le gambe corte,
ed ognuno c’ha un numero e sopra ognuno una croce,
ma va bene lo stesso, va bene così.
Chiamatemi Mimì, chiamatemi Mimì.

Per i miei occhi neri e i capelli e i miei neri pensieri,
c’è Mimì che cammina sul ponte per mano alla figlia
e che guardano giù.
Per la vita che ho avuto e la vita che ho dato, per i miei occhiali neri,
per spiegare alla figlia che domani va meglio, che vedrai, cambierà.
Come passa quest’acqua di fiume che sembra che è ferma,
ma hai voglia se va, come Mimì che cammina per mano alla figlia,
chissà dove va.
Sarà che tutta la vita è una strada e la vedi tornare,
come le lacrime tornano agli occhi e ti fanno più male,
e nessuno ti vede, e nessuno ti vuole per quello che sei.
Sarà che i cani stanotte alla porta li sento abbaiare,
sarà che sopra al tuo cuore c’è scritto "Vietato passare",
il tuo amore è un segreto, il tuo cuore è un divieto,
personale al completo, e va bene così.
Chiamatemi Mimì, chiamatemi Mimì.

Per i miei occhi neri e i capelli e i miei neri pensieri,
c’è Mimì che cammina sul ponte per mano alla figlia
e che guardano giù.
Per la vita che ho avuto e la vita che ho dato, per i miei occhiali neri,
per spiegare alla figlia che domani va meglio, che vedrai, cambierà.
Come passa quest’acqua di fiume che sembra che è ferma,
ma hai voglia se va, come Mimì che cammina per mano alla figlia,
chissà dove va.
(Francesco De Gregori)

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L’ultima illusione non è svanita:

IO
LIBERA
per sempre

io dovrei…
NO
non dovrei!

 

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Posto che io in questo clima di giugnembre come si dilettano a chiamarlo i miei innumerevoli contatti ed amici ci sto bene ché quando piove sono troppo felice e sto bene e mi piace sentire il rumore delle gocce che cadono e respirare l’odore di terra bagnata e non c’è il sole che scotta e che mi acceca, posto tutto questo mi sembrava anche il caso di mettere una virgola, e a questo punto anche di andare da capo, ma dopo il punto, si intende.

Oggi pensavo che se mai sarò ricca, ma proprio ricca da fare schifo, cosa più che improbabile direi inverosimile, ma dicevo che se mai sarò ricca la cosa più lussuosa che vorrò avere, la cosa che per prima sarà fonte inesauribile di gioia per me, sarà appunto avere un dipendente che si occupi di tutto quanto può essere catalogato sotto il nome di burocrazia.

Ho fatto il 730 (era quello? credo di di sì) e ho dimenticaro di detrarre circa 3000 euro di tasse, mica bruscolini.
Ho compilato vari moduli per graduatorie e quanto altro, che da qui ad altri almeno 10 anni coloreranno la mia vita di insegnante precaria, e ho impiegato tutte le mie energie a non scaraventarli fuori dalla finestra, e sono andata a consegnarli circa venti volte trovando, sistematicamente, lo sportello chiuso fino a che oggi, ultimo giorno utile per un modello che quasi sicuramente neanche dovevo consegnare, lui si è impietosito e mi ha inviato una raccomandata in un liceo che sta a poche centinaia di metri da casa mia.

Insomma voglio quello che chiamerò il mio burocrate personale.
Mi serve.

Poi non so che altro dire se non che abbiamo sistemato il soggiorno di casa nuova, per ora qui ci rimane solo il letto e l’adsl a trattenerci, abbiamo riempito una parete enorme di libri , ma ancora non siamo sicuri se la divisione fatta per casa editrice sia l’ordine più consono in cui tenerli, in ogni caso meglio degli scatoloni sotto al letto in cui li tenevamo finora.
Anche il bagno e la cucina sono a posto, manca solo il portarotolo in bagno e la lavatrice in cucina.

Nel palazzo in cui andremo ad abitare, quello in cui risuonano le minacce di qualche post fa, ogni pomeriggio l’infante di cui sempre al post di prima, riesce a smettere di piangere soltanto ascoltando un medley di una trasmissione di una tv locale dove l’artista, con una voce che dire nasale è dire tutto,  alterna -per ore e ore e ore e ore-  i brani seguenti:
‘o ball r’o cavall
-la fragolina (di cui non trovo il link)
la campagnola.

Mi sembra di non avere più niente di interessante da dire, perciò chiudo qui.

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L’unica cosa bella dell’estate è la totale indolenza che si impadronisce della sottoscritta.

Ed eccomi a passare ore ed ore in totale far nulla, stesa sul letto seminuda e nelle posizioni più indecorosamente lascive e rilassanti.

Non c’è nulla per cui mi senta in colpa, non ci sono doveri che sento di dover assolvere con puntualità e precisione, non c’è nulla che sia improcrastinabile.

Così, in questo regime di semilibertà, posso dedicarmi a tutte le attività più francazziste che mi vengono in mente e mi sto perdutamente innamorando di Tricarico. Tenendo conto che potrebbe anche essere una fugace passione, un fuoco di paglia, ascolto le sue canzoni e leggo i suoi testi.

Ho deciso anche che è arrivato il momento di possedere un personale lettore mp3 che possa utilizzare senza il terrore di rovinare il preziosissimo di lui strapieno lettore.
Lo riempirò della mia musica e proverò la sensazione di estraniarmi dal mondo quando cammino per strada, anche se questa la vedo difficile.

Ora torno a stendermi, anche battere le dita sulla tastiera è troppo faticoso.

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Probabilmente sto per scrivere il post più banale della storia dei blog, ma scrivere queste cose mi aiuta a tirare fuori una morsa che da qualche ora mi stringe il cuore, e che schiaccia ancor più un’altra morsa che mi tiene da domenica pomeriggio.

O forse dopo starò solo peggio, e chi lo sa.

E’ che domenica sfogliando le pagine di Repubblica mi sono soffermata a guardare le foto delle torture di Abu Ghraib.

Ormai siamo troppo abituati ad immagini di questo genere, quasi ci sembra familiare l’uomo incappucciato con i fili elettrici attaccati alle mani -o qualcosa del genere- e non ci fermiamo mai a pensare cosa si deve provare a stare al suo posto, oppure ci pensiamo e ci distraiamo subito, oppure inveiamo contro la politica, gli uomini che hanno creato tanto orrore, oppure, come me, pensiamo a cosa vorremmo fare per vendicare quelle povere vittime e ci immaginiamo di fare del male ai carnefici.

Io domenica invece mi sono immaginata nella parte di un torturato, e a me quella sensazione non me la toglie più nessuno dal cuore.

Ma voi immaginate cosa vuol dire stare lì, nudi, bloccati, a SAPERE che stanno per farti del male, e a non poter fare nulla, e a soffrire e a sapere che non finirà, che non ci sarà nessuno che porrà fine a tutto ciò?

Cosa può voler dire soffrire e basta, senza un perché, senza una colpa, senza una soluzione di continuità?

E io non posso credere che esistano persone appartenenti al genere umano che scientificamente possano programmare di far soffrire un altro essere umano, che possano immaginare cosa può fare più male, cosa può più umiliare.

E che ci sia una connivenza, che qualcuno lo sappia e non faccia nulla per fermarlo, e che qualcuno collabori direttamente e indirettamente.

Ma come si può? Ma com’è possibile?


E poi oggi mi sono imbattuta in un’altra sofferenza e ho letto da cima a fondo il blog di una ragazza malata di cancro, e non posso non pensare a come ci si debba sentire senza sapere se domani arriverà, e come si debba sentire una persona che ama una persona malata, che può morire, che verosimilmente non festeggerà il suo prossimo compleanno, che si spegne giorno per giorno.

E penso al suo corpo (di lui) nudo, e penso a cosa possa essere vedere un corpo sano deperire, essere rivoltato come un calzino, consumarsi, finire…


Mi sento piccola, impotente, insignificante, e tutto è imponderabile ed ingiusto, e assurdo, e disumano, oppure tremendamente umano.

Alla ragazza senza capelli dedico una canzone stupenda che per un motivo sciocco non ascolto mai, e invece adesso la pubblico e la dedico a lei che un giorno spero ne riavrà di bellissimi.

 


 


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Dedicato

Dopo la psicoterapia individuale, ho seguito, per un periodo, una psicoterapia di gruppo, un gruppo composto da  sole donne di età, estrazione sociale, livello culturale, malattia, profondamente diversi fra di loro.
Ho abbandonato questa terapia dopo qualche mese, non la sentivo adatta alle mie esigenze del momento, la vita mi ha chiamato ad altri impegni e quello del mercoledì pomeriggio non ho potuto più mantenerlo.
Ma in quesi mesi ho conosciuto donne, ho conosciuto storie, ho conosciuto mondi che adesso, ogni tanto, mi si riaffacciano alla mente.
Stamatina, mentre facevo colazione, mi è tornata in mente una di loro, non ricordo neanche il suo nome, ma ricordo il motivo per cui era in terapia, e il motivo era un amore, una amore impossibile, lontano, un amore che le dava morte e vita, eros e thanatos, e lei ne parlava come di un ricordo stupendo, di un ricordo bello e struggente.
E penso a quella donna e al suo cuore e alle sue parole e a quei momenti di condivisione di noi.
E stamattina le dedico una canzone, anche se da anni non l’ho più vista.

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C’è un giorno che ci siamo perduti
come smarrire un anello in un prato
e c’era tutto un programma futuro
che non abbiamo avverato

(I. Fossati)

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