Probabilmente sto per scrivere il post più banale della storia dei blog, ma scrivere queste cose mi aiuta a tirare fuori una morsa che da qualche ora mi stringe il cuore, e che schiaccia ancor più un’altra morsa che mi tiene da domenica pomeriggio.
O forse dopo starò solo peggio, e chi lo sa.
E’ che domenica sfogliando le pagine di Repubblica mi sono soffermata a guardare le foto delle torture di Abu Ghraib.
Ormai siamo troppo abituati ad immagini di questo genere, quasi ci sembra familiare l’uomo incappucciato con i fili elettrici attaccati alle mani -o qualcosa del genere- e non ci fermiamo mai a pensare cosa si deve provare a stare al suo posto, oppure ci pensiamo e ci distraiamo subito, oppure inveiamo contro la politica, gli uomini che hanno creato tanto orrore, oppure, come me, pensiamo a cosa vorremmo fare per vendicare quelle povere vittime e ci immaginiamo di fare del male ai carnefici.
Io domenica invece mi sono immaginata nella parte di un torturato, e a me quella sensazione non me la toglie più nessuno dal cuore.
Ma voi immaginate cosa vuol dire stare lì, nudi, bloccati, a SAPERE che stanno per farti del male, e a non poter fare nulla, e a soffrire e a sapere che non finirà, che non ci sarà nessuno che porrà fine a tutto ciò?
Cosa può voler dire soffrire e basta, senza un perché, senza una colpa, senza una soluzione di continuità?
E io non posso credere che esistano persone appartenenti al genere umano che scientificamente possano programmare di far soffrire un altro essere umano, che possano immaginare cosa può fare più male, cosa può più umiliare.
E che ci sia una connivenza, che qualcuno lo sappia e non faccia nulla per fermarlo, e che qualcuno collabori direttamente e indirettamente.
Ma come si può? Ma com’è possibile?
E poi oggi mi sono imbattuta in un’altra sofferenza e ho letto da cima a fondo il blog di una ragazza malata di cancro, e non posso non pensare a come ci si debba sentire senza sapere se domani arriverà, e come si debba sentire una persona che ama una persona malata, che può morire, che verosimilmente non festeggerà il suo prossimo compleanno, che si spegne giorno per giorno.
E penso al suo corpo (di lui) nudo, e penso a cosa possa essere vedere un corpo sano deperire, essere rivoltato come un calzino, consumarsi, finire…
Mi sento piccola, impotente, insignificante, e tutto è imponderabile ed ingiusto, e assurdo, e disumano, oppure tremendamente umano.
Alla ragazza senza capelli dedico una canzone stupenda che per un motivo sciocco non ascolto mai, e invece adesso la pubblico e la dedico a lei che un giorno spero ne riavrà di bellissimi.