Archivi del mese: gennaio 2010

Nella mia modesta magione ha fatto il suo ingresso trionfale la uifit, scritta proprio come si pronuncia., o meglio come io la pronuncio, ché non so se è giusto.
E’ entrata, ci siamo presentate, e poi, siccome lei è una cafona della peggior specie che me ne dice di tutti i colori per i motivi più svariati, perché mi dà della scansafatiche, della donna dall’equilibrio traballante, dell’incapace etc, salvo poi darmi della culturista per gli esercizi muscolari, lei è finita sotto al divano, e la tiro fuori una-due volte a settimana, mi prendo, come dicevo, i suoi insulti, la mando a quel paese, consumo quel tot di calorie che decido e la rimando a cagare.
Inoltre  l’istruttore figo mi sembra un rincoglionito, e somiglia tremendamente all’istruttore vero che avevo nella palestra vara tre anni fa.
Anche se forse quella che sta messa peggio sono proprio io che parlo di un mondo virtuale su una pagina virtuale, con un nome virtuale… uAo, che cosa allucinante.
Però la cosa degna di nota è che l’altra sera ho sconfitto lui a bowling, io schiappauoman ho vinto con una serie di strike trionfale, io che ho sempre vinto solo robe tipo la gara di tabelline in terza elementare, il concorso per il tema migliore in terza media, e le olimpiadi di matematica alle superiori, io ho vinto in una cosa un po’ sportiva con lui che invece, al contrario, è sempre stato bravissimo negli sport,
Poi ieri sera, durante la partita del Napoli, mi sono persino azzardata a fare dei commenti, e quando ho detto una cosa circa un goal che un tizio con la maglia azzurra che non ricordo come si chiama, ha sbagliato perché ha tirato da troppo lontano al posto di passarlo al collega (come si dice: collega? compagno? calciatore della stessa squadra?), dicevo, quando ho detto quella cosa lui, imprecando, ha detto "Ma che cazz’ faj, se n’è accorta pur’ Xxxxxx" dove per Xxxxxx sta per il mio vero nome, lo so che si era capito ma vabbé.
Cioè io sono qualcosa come il termine minimo di paragone, e c’ha pure ragione considerando che circa a metà del secondo tempo gli ho chiesto "Ma il Napoli deve calciare a destra o a sinistra?".
Le mie avventure sportive per il momento finiscono qui, spero vivamente di vincere al superenalotto, posto che giochi, pirma o poi, perché mi sono proprio rotta di lavorare e non credo di avere grandi possibilità di entrare nellacasadelgrandefratello.

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Dunque, una delle cose che ho sempre trovato più difficile è  quella di acquistare reggiseni. 
Il motivo principale è costituito dal fatto che io ho il seno grande, indipendentemente dalle mie varie altre misure che possono salire o scendere, le tette restano lì, miracolosamente sfidando anche la forza di gravitazione universale, per fortuna.
Così non posso comprare il 90% dei reggiseni che vedo in giro e che trovo gradevoli, perché hanno tutti un po’ di imbottitura di cui proprio non ho bisogno.
Il restante 10% è costituito da quei reggiseni orrendi stile nonna, o stile  Xxxxxxxx Xxxxxxxx (= nome e cognome di una collega che li indossa sistematicamente col risultato di avere due tette a punta l’una tendente ad est e l’altra ad ovest… una cosa urendaaaaa).
Ecco a me piacciono i balconcini, e mi chiedo perché tutte le taglie, dalla prima alla quarta, e quinta abbiano l’imbottitura per pushare in su.
Io non devo pushare proprio un bel niente, io voglio solo tenere, stare comoda, dare alle mie tette la libertà di essere se stesse!
Però girando in giro avevo trovato un’oasi, un negozietto di intimo in un paesino in provincia di Napoli dove vendevano a prezzo fisso (dove per prezzo fisso intendo dire 5 euro, sempre, da sempre) dei deliziosi balconcini privi di imbottitura, con tanto di ferretto, fatti di una bella stoffa e con una gamma di colori abbastanza ampia.
Io mi rifornivo 2-3 volte l’anno, ed ero proprio contenta di essere quasi l’unica cliente, tanto che spesso ho potuto ivi acquistare deliziose mutandine e meravigliosi calzini colorati da fare invidia a Mesiano.
Mi bastava scegliere taglia e colore e via, senza bisogno di misurare, operazione da me particolarmente odiata nonché vituperata.
E qui casca l’asino, eheheh, l’ho detto, quasi l’unica cliente… e qui ho sbagliato in tanti anni a non far sì che tutte le mie conoscenti si rifornissero presso il mio spacciatore, e qui che ho dimostrato che il mio senso degli affari non esiste… e qui che è acaduto l’inevitabile.
Così giorni fa ho finalmente tirato giù il mio lui dal letto, minacciandolo che se non mi avesse scarrozzato nella ridente cittadina che offriva luogo al mio spacciatore avrei continuato ad indossare regiseni inadeguati alle mie forme,  come quello  scomodissimo che avevo comprato ultimamente e che mi faceva sempre venir via tutto dalla scollatura.
Continuo a girarci intorno, ma la dura realtà si è palesata al mio sguardo attonito, ed è così che ho scoperto che al posto del solito scaffale colmo di reggiseni ce n’è uno carico di olio, pasta, pomodori pelati etc, il mio negozio di intimo è diventato una salumeria, una cremeria per la precisione, che mostrava nel servizio caldo dei cornetti enormi, torte e pizzette e brioches. E io continuavo a fissare con lo sguardo perso nel vuoto tutto questo, e continuavo a disperarmi, e a chiedermi perché, perché, perché?
Concludo il racconto per onor di cronaca, ma il mio cuore si è spezzato lì, e ancora piange, mentre sono qui che indosso un modaiolo reggiseno viola acquistato in un centro commerciale poco distante, pagato un occhio della testa e per nulla democratico verso la forma naturalmente rotonda  delle mie tette.

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Non so fare sorprese, spiffero tutto anzitempo, e prima di spifferare dico sempre che ho qualcosa che non posso dire.
La curiosità dell’altro aumenta a dismisura e non faccio che attirare l’attenzione su quanto voglio che rimanga segreto.
Alla fine, inesorabilmente, cedo e dico tutto.
Così oggi avevo deciso di prendere per lui i biglietti per Travaglio all’Augusteo la settimana prossima, non ho fatto altro che dire che c’era una sorpresa etc, poi, chiacchierando mi fa: "ma poi c’è Travaglio all’Augusteo, ma che spettacolo sarà mai… un monologo… mah" con l’ aria perplessa di chi riterrebbe una sciocchezza andare.
Ed è lì che delusissima ho detto tutto.
E io che pensavo di farlo contento.
Per reazione sono andata in cucina a ripulire, ora ho il lavello, il piano cottura e tutto il resto che brilla come se fossi l’amante di Mastro Lindo, mentre il mio homo sapiens guarda il Real Madrid sprofondato nel divano e bestemmiando in aramaico perché se non fanno un altro goal perde la scommessa.
Mi sa che la prossima volta gli regalo i biglietti per la partita del Napoli.

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Che poi ti chiedono perché sei depressa… e tu pensi che il tuo responsabile ieri ha detto che "non so se ce la faccio per domani a leggere tutto", dove il tutto era una relazione di una pagina word che tu ci hai impiegato in tutto  poco più di 10 minuti a scrivere+correggere+rileggere+stampare.
E di fronte al tuo scetticismo, con cui facevi notare che si trattava di quattro concetti in croce, banali e scontati oltretutto, lui ti risponde che c’è il figlio che fa chiasso e lo distrae.
W l’Italia, oggi lui, come tutti i giorni, ha il potere di dire a me quello che devo e non devo fare -lavorativamente parlando- e ha avuto, in passato, il potere di decidere mie eventuali proroghe contrattuali.
Fra tutti i responsabili nella mia azienda non è neanche il peggiore.
Ho detto tutto.

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e intanto conto i denti però il conto non mi torna,
ce n’è uno che mi manca e forse tu mi puoi aiutare,
per caso non l’hai mica ritrovato a casa tua?
Ero così ditratto, amore mio,
quando ti ho morso il cuore…

(Francesco De Gregori)

L’anno scorso, e anche un po’ più in là, smettevo completamente di prendermi cura del mio corpo, lasciandomi andare a capelli non curati, unghie corte e poco smaltate, vestiario che si adeguava ad un corpo che cresceva esponenzialmente in volume.
Non mi importava nulla perché nutrivo solo la mia testa, il mio cervello era programmato per far funzionare il mio corpo  giornate in cui a parte 5-6 ore di sonno ne avanzavano una al massimo due per riposare/lavarmi/fare sesso/ dedicarmi a qualsiasi attività od hobbbbbbbisss e per il resto c’erano solo
studio – lavoro – corsi – esami- studio – mezzi pubblici- tirocinio etc.

Adesso vivo una condizione di mezzo, lavoro, sempre quello sempre un cesso, sempre stressante, sempre sicuro, sempre pagato, sempre necessario.
Però c’è tempo, un po’ di più per rendermi conto che posso fare qualcosa per me, qualcosa che non sia solo dimagrire, perché se i primi chili se ne sono andati via facilmente, e altri se ne stanno andando, c’è tutto il resto da farmi piacere, e così se i capelli adesso sono sempre belli e le mani sempre curate e gli occhi truccati e la borsa è abbinata al resto e gli orecchini cambiano ogni giorno e… e tutto torna a sbatterti in faccia come un portone chiuso all’improvviso.
E sto facendo i conti con me stessa, con quello che voglio o posso fare, ed è facile pensare che tutto si risolverebbe vedendo l’ago della bilancia scendere ancora più giù, ma lo so che non sarà così, benché il fatto che l’ago scenda sia decisamente auspicabile oltre che necessario al momento, e il conto non mi torna.
Intanto ho comprato un altro pigiamone color verde acido, e con una pecorella sul fianco sinistro.
Lui mi dice che sono bellissima, e sensuale (anche se butterebbe decisamente nella pattumiera i miei pigiamoni, ma mi vuole troppo bene per privarmene, l’ho capito e ne approfitto), e io mi sento orrenda, mi guardo dentro e mi guardo fuori  e mi trovo brutta, e passo il tempo col mio borbottio mentre progetto e penso e chissà.

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Il fascio di friarielli

Probabilmente non tutti al mondo conoscono quello che a Napoli si chiama il fascio di friarielli, o meglio ‘o fasc’ ‘e friariell‘.

Trattasi il friariello sostanzialmente di broccolo cucinato in modo godurioso e solitamente accompagnato dalla salsiccia, per la serie sasicc’ e friariell’.

A Napoli ci si fa la pizza, la pasta, la marenna, e si mangiano da soli, anche accompagnati dal cuzzetiello della palatella di pane.

Come si evince dall’introduzione  sulla teoria sono molto preparata, non molto sulla pratica invero, pertanto, nella mia breve ma folgorante carriera culinaria, ho sempre accuratamente evitato di cucinare tale meraviglia, benché il mio lui, come ogni partenopeo che si rispetti, ne sia particolarmente ghiotto.

Il turpe segreto è questo: io non so pulire questa verdura, a dire il vero io quando pulisco la verdura faccio delle vere e proprie operazioni chirurgiche, e anche un’innocua lattuga passa la mia ispezione sempre magno cum timore, lavo ogni singola foglia tre-quattro volte dopo averla accuratamente ispezionata, mondata, epurata e rimirata.

Però questa cosa del friariello era una macchia troppo brutta sulla linda e pinta tovaglia della carriera culinaria di cui parlavo prima, e ciò mi ha spinto a chiedere informazioni a destra e a manca circa la pulitura del soggetto di questo racconto. Tutti mi hanno dato spiegazioni, ma quella definitiva e convincente è stata la dritta di una collega veracemente verace che in tre passaggi ha riassunto il tutto: pigli’ ‘o friariell, guard’ ‘a fogli’ e si è sana tir’ e lasc’ sul’ ‘o streppon’ (ovvero prendi la foglia, la guardi per vedere se c’è del marcio o simili, se è intatta la tiri scartando solo il gambo).

La semplicità e la pragmaticità di tale indicazione mi ha convinto che ce la posso fare, oh yessss…

Così oggi sono andata a fare la spesa all’Auchan, nel banco verdura c’erano esposti in bella mostra fasci di friarielli a prezzo stracciato e molta gente ne riempiva sacchetti e sacchetti, ho sentito che era arrivato il momento anche per me, e ho preso due fasci mettendone ognuno in  un singolo sacchetto, poiché l’insegna parlava chiaro, tale verdura non andava pesata ma pagata alla cassa 29 cent a fascio, chiedendomi intimamente come avrebbe fatto la cassiera a sapere quanto io avrei dovuto pagare e credendo di facilitarle il lavoro ho adottato la pratica del singolo fascio in singola bustina.

Alla cassa mi sono rivolta con un sorriso gentile alla cassiera e le ho fatto notare quanto fossi stata saggia e diligente prendere due fasci di friarielli e metterli in due singole confezioni, ho detto esattamente così: “ho preso due mazzetti di friarielli e li ho messi uno qui e l’altro qui (indicando le due bustine) ”.

Beh, io mi aspettavo un grazie, un brava, un ok, un niente… e invece lei si è messa a ridere… Lui sostiene che a farla ridere sia stata l’espressione mazzetto dato che a Napoli l’unità di misura del friariello è il fascio, e nessuno prima di me si era mai sognato di attribuirgliene un’altra.

In ogni caso questa sera cucinerò friarielli, si spera, voi dite che se al posto della salsiccia li servo con un hamburger di tacchino alla piastra mi riderà dietro anche lui?

 


 


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Due sono le possibilità:
– o io sono proprio bona
– o lui è un maniaco sessuomane

Perché andare a letto con una che si concia nel modo che segue:
– pigiamone rosa con orsetti morbidosi sul pancino
– calzettoni di lana azzurri-rosa-verdi-bianchi-gialli
– mutandine a righine rosa e viola
– il viso completamente struccato
– e una massa lunghissima di capelli rossi selvaggiamente sparsi sul cuscino

Dicevo che andare a letto con una conciata così deve essere qualcosa di quasi perverso, eppure non si è mai stati tanto bene -sessualmente parlando- come nelle ultime settimane.

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E’ un po’ che non scrivo, mi pare di non avere nulla da dire, niente  di interessante da raccontare o che valga la pena fermare qui, su questa pagina.
Ma io lo so che quando non scrivo è perché c’è qualcosa dentro che sta nascendo, che sta lì pronto ad esplodere, a venir fuori in qualche modo, e aspetto, sperando scelga quello più indolore possibile.

Qualche giorno fa ho avuto un malore in casa, ero sola e ho avuto paura, è passato dopo un po’ e ho chiamato lui, e la cosa che mi ha fatto più male è stata sapere che non mi avrebbe preso sul serio, perché ormai quando sto male io tutti, io per prima, pensiamo che sia un male inventato dalla mia testa, nulla di cui preoccuparsi veramente, solo un fantasma del mio cervello malato.
Ed è triste. Ma è vero.

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Quest’anno il calendario della cucina ha il logo del "bombarolo", è così che chiamiamo il caro Peppe che ci rifornisce della bombola del gas che abbiamo in cucina, e non si stupisca la gente per bene nell’apprendere che no, nella nostra casa in affitto, non c’è il gas. 

A me questa casa un po’ vecchia piace, perché è strana, ogni camera ha un pavimento di colore diverso, e io ho appeso ai muri stampe per ogni dove, si presta molto ad essere una casa un po’ freak, e in fondo credo che il modo in cui l’abbiamo arredata rispecchi  il nostro modo di essere.
In particolare guardo la parete completamente coperta dalla libreria che è alle spalle della mia scrivania e pare mi protegga.
Il divano coi  cuscini e i miei lavori a maglia per accoccolarci e guardare i film.
La cucina con la cassettiera di stoffa colorata e le ciotole rosse del cane.
Il lettone di Putin per dormire fino ad orari indecenti.
Mi piace vivere qui, anche se questa è una zona di merda, è una zona di camorra, è una zona di vaiasse che urlano e gente che ti osserva quando cammini.

Tornando al calendario del bombarolo, io mi ci sono già affezionata, punto primo perché la grafica è proprio bella, ci sono sullo sfondo foto delle città italiane, e poi c’è nientepopodimeno che il mio nome, quello che sui calendari non c’è mai alla data del mio onomastico.

Così ieri anche lui se ne è ricordato.

Che poi mi sento una grande incoerente a tenere presente il mio onomastico, in fondo anche quella è una festa cattolica, perché è la commemorazione di un santo, e, secondo le regole basilari della logica, se non esiste il santo non esiste la sua commemorazione, indi niente onomastico, eheheh.

Comunque il bombarolo è stato carino ieri sera a portarcelo, ma soprattutto a portarci la bombola alle otto di sera, certo quando è arrivato dalla bufera, con quel carico sulle spalle, nella cucina che odorava di zucchine mezze cotte, il cane poteva anche evitare di ringhiargli contro.

Non mi sento molto bene in questi giorni, fisicamente intendo, non so cos’ho, a parte un paio di tonsille che sembrano palline da ping pong, le gambe che mi fanno male e la testa che gira.

Non ho la febbre, ma mi sento debole e la misuro ogni due-per-tre.

Martedì vado dal medico.

 

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